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CACCIA : LE ASSOCIAZIONI AMBIENTALISTE SI RIVOLGONO ALLA REGIONE MENO SOLDI ALLA GESTIONE VENATORIA PER FINANZIARE LE AREE PROTETTE

Il 24 marzo scorso il Circolo Legambiente Valle d’Aosta e la Federazione italiana Pro Natura hanno inviato una lettera all’Assessore all’gricoltura e risorse naturali ed al dirigente competente per la gestione venatoria, nella quale chiedono di destinare l’evidente avanzo di cassa del 2016 del Comitato di Gestione Venatoria (circa 125.000 euro) al Parco del Mont Avic, il cui bilancio registra da anni una situazione di sofferenza.

 

Parco Nazionale dello Stelvio

Il Parco Nazionale dello Stelvio è in una situazione indefinita dalla fine del 2010, da quando un decreto del Consiglio dei Ministri ne propose lo spacchettamento con la tripartizione tra le Province autonome di Trento e Bolzano e la Regione Lombardia, chiedendo la soppressione del Consorzio del Parco e azzerandone subito il Consiglio Direttivo e ottenendo di fatto un declassamento dell’area protetta da Parco Nazionale a una entità ancora indefinita. E’ vero che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, non ha poi firmato il decreto in questione (per la mancanza d’intesa con la Regione Lombardia e per l’evidente contrasto con la Legge Nazionale sulle Aree Protette), salvaguardando l’unitarietà del Parco Nazionale e impedendone così l’entrata in vigore, ma oggi il caso Stelvio torna di attualità e sarà sicuramente affrontato dal nuovo governo nei prossimi mesi.

In che modo? Si parla di dare seguito all’accordo del dicembre 2010. Infatti si parla di un accordo elettorale già raggiunto tra il PD di Bersani e la Südtiroler Volkspartei (Bolzano) su quanto avviato dal Governo Berlusconi per la provincializzazione del Parco Nazionale dello Stelvio. Senza entrare in polemica con nessuno, Federparchi, Legambiente e Club Alpino Italiano ritengono che lo smembramento del Parco Nazionale dello Stelvio non abbia ragione di essere compiuto e non vedono ricadute positive da questo passaggio, oltre a essere, per il PD, un passo indietro rispetto all’azione di suoi due Senatori Ferrante e Della Seta che con le loro prese di posizione e denunce in Senato, evitarono proprio lo smembramento del Parco. L’assetto unitario del Parco, istituito quasi 80 anni fa (per il 70 per cento ricadente nel territorio lombardo) non può essere messo in discussione ed è un segnale che dimostra incompetenza nelle politiche di conservazione.

Agli enti locali, che hanno il ruolo più importante nella gestione delle aree protette nazionali a partire dalla composizione degli organi (e in questa direzione le nostre associazioni stanno da tempo lavorando, per esempio nel portare contributi ‘local’ alla stesura della nuova 394) compete l’impegno per rilanciare, a livello europeo, transnazionale, la prospettiva di un Parco con il prestigio e la storia dello Stelvio.

Smembrare, rimarcare confini che la natura non riconosce, piegarsi a logiche politiche in cui valori affermati e tutelati, di territori e tradizioni, passano in secondo piano, creerebbe gravi danni all’ambiente.

Oggi è prioritario riavviare la piena funzionalità dell’Ente Parco con il rinnovo degli organi collegiali, compito che compete al Ministro dell’Ambiente. L’efficace e rispondente gestione del territorio ha bisogno di confronti tra gli interlocutori interessati: provinciali, regionali, nazionali e oltre. L’impegno futuro va profuso nel fissare nuovi obiettivi di conservazione, aperti al territorio e lungimiranti, magari insieme al Parco svizzero dell’Engadina o agli altri parchi vicini.

INFO: Ufficio Stampa Federparchi

Le zone umide da salvaguardare

Siamo in vacanza in Valtournenche, come sempre negli ultimi 8 anni.

Una valle certo pesantemente sfruttata, ma ancora con scorci maestosi e angoli di vera bellezza alpina.

Con la famiglia proviamo un nuovo sentiero. Dopo aver fatto l’8 da Perrères a Promoron (un largo sentiero in piano, un classico per le famiglie), saliamo invece che verso la diga di Cignana, verso l’Alpe Cortina lungo il n˚ 2. Magico sentiero nel bosco, fino a una terrazza con vista sulla valle. Qui 4/5 laghetti o zone umide sarebbero un delizioso completamento di una superba passeggiata se non fosse che tutto è prosciugato. Decine di minuscole ranocchie cercano rifugio in 3 dita d’acqua. Nonostante l’arsura la vita brulica nelle minuscole pozze rimaste. Pochi metri più in su le malghe dell’Alpe Cortina drenano evidentemente tutta l’acqua disponibile.

Vado a curiosare.

Come al solito un caos di tubi di plastica nera, molti tagliati e abbandonati, in un generale senso di disordine e abbandono. L’acqua comunque va altrove. Nessuno ignora ormai quanto importanti siano le zone umide, e quanto rare siano in particolare quelle di montagna. L’acqua qui abbonda ovunque ed è utilizzata per tutto. Certo serve all’agricoltura. Ma con poca attenzione in più potrebbe essere anche di supporto alla biodiversità, un bene inestimabile, un valore culturale e un’attrazione turistica.

Les Iles, un esempio di progetti sbagliati

AOSTA – Avevo già criticato da queste pagine il progetto da 12 milioni di euro chiamato «Viva» che l’assessore all’agricoltura e la dirigente competente per le aree protette Santa Tutino avevano pubblicizzato in apertura di un recente convegno come finalizzato alla conservazione della biodiversità, ricevendo in risposta generiche affermazioni che nulla rispondevano nel merito.

Di tutti questi soldi solo una piccola parte, meno del 6%, saranno spesi realmente per proteggere e conservare le risorse naturali, il resto andrà a compiacere imprese, progettisti e consulenti impattando pesantemente sull’ambiente.

Un esempio formidabile di quanto affermo viene offerto a chiunque visiti oggi la piccola riserva naturale Les Iles: qui l’impreparazione dei progettisti ha toccato livelli di punta, perché per far passare la pista ciclabile, invece che utilizzare percorsi già esistenti, come per esempio la poderale che affianca l’autostrada o il tracciato della pista che già attraversa in parte l’area protetta, oppure ancora la sponda del fiume già cementificata, costruendo un nuovo tracciato è stato devastato e seriamente ridotto il già piccolo bosco ripario, ben strutturato dal punto di vista forestale e molto prezioso per mantenere alta la biodiversità del sito perilacustre. Forse il motivo di questa scelta risiede nel non voler espropriare poche migliaia di metri quadrati di terreni confinanti, risultato che si poteva comunque ottenere facendo scelte diverse da quella adottata. Ho paura ora di scoprire come verranno spesi gli altri soldi previsti per questa piccola riserva (in tutto 1,3 milioni di euro!) che aveva solo bisogno di essere chiusa al traffico veicolare, limitando anche quello delle biciclette e dei cani per proteggere meglio le specie di uccelli nidificanti, spendendo poche migliaia di euro.

Quando all’arroganza politica e a quella personale si accompagna anche l’ignoranza dei più semplici princìpi ecologici, si possono sprecare molti soldi e fare molti danni, rimanendo oltretutto convinti di essere nel giusto.

Biodiversità, la tutela passa dalla conoscenza

In merito alle affermazioni del signor Rossi, pubblicate il 5 giugno scorso, si rileva, con stupore, come ci sia ancora, nel 2012, chi ritenga che tutelare la biodiversità nelle Alpi significhi vietare qualsiasi intervento o azione umana, limitandosi a qualche studio scientifico i cui risultati possono, forse, essere condivisi e compresi da pochi eletti dotati di adeguate capacità. Tutelare la biodiversità per il signor Rossi non significa, quindi, anche promuovere la conoscenza del patrimonio naturale, lʼattività didattica, lʼinformazione e la divulgazione, definire modalità di fruizione sostenibili, coinvolgere gli operatori economici, le guide escursionistiche-naturalistiche e le strutture ricettive, sostenere gli agricoltori che lavorano nei territori tutelati. Peccato che le strategie europee e nazionali promuovano proprio tali attività, come ricordato anche dal rappresentante del ministero dell’Ambiente intervenuto in video conferenza (un altro indegno intervento?). A beneficio di coloro che non hanno partecipato all’incontro del 22 maggio, si precisa che le risorse citate provengono in gran parte da fondi statali o europei (Fondo europeo di sviluppo regionale, Programmi di cooperazione territoriale, Piano di sviluppo rurale ) che attraverso la promozione dello sviluppo socio economico contribuiscono, secondo lʼinterpretazione del signor Rossi, allo scempio naturale. Informazioni più dettagliate sull’uso di tali risorse sono reperibili sulle deliberazioni di giunta che, ricordo, sono atti pubblici. Peccato, ancora, che lʼinterlocutore, così preparato e consapevole della gravità del problema secondo le sue affermazioni, abbia scelto di comunicare il suo pensiero attraverso le pagine di un giornale, anziché intervenire nel dibattito, condividendolo in un confronto civile e democratico. Ma anche questo, forse, denota il livello di «biodiversità culturale» di chi preferisce sempre criticare piuttosto che condividere e costruire nuovi modelli di sviluppo e di relazioni.