CAROVANA DELLE ALPI 2020 .BANDIERA VERDE ALLE GIUNTE REGIONALI IN CARICA DAL 2014 AD OGGI

MOTIVAZIONE: per aver portato avanti e realizzato il percorso “Cammino Balteo”, nell’ambito del Progetto Strategico “Bassa Via della Valle d’Aosta”, impiegando risorse comunitarie, statali e regionali in direzione del turismo sostenibile.

Il Cammino Balteo è un percorso escursionistico, adatto anche al cicloturismo, che si snoda per circa 360 km ad una quota altimetrica compresa tra i 500 e i 1900 metri s.l.m.

Suddiviso in 24 tappe, attraversa 48 Comuni, valdostani di bassa e media montagna, consentendo di compiere un anello completo. L’itinerario parte infatti dal primo Comune che si incontra entrando in territorio valdostano, Pont Saint Martin, e raggiunge Morgex, ai piedi del Monte Bianco, da dove si può intraprendere il ritorno lungo un tracciato diverso.

Tutti i paesi toccati dispongono di strutture ricettive, e il percorso comprende aspetti di grande varietà, spaziando dagli ambienti solitari dei tratti più in quota al paesaggio rurale del fondovalle. Numerose le emergenze storico-architettoniche toccate dal sentiero, che invogliano alla scoperta di piccoli e grandi capolavori poco conosciuti.

La progettazione, avviata nel 2014 nell’ambito del “Programma investimenti per la crescita e l’occupazione 2014/2020” del Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR), cofinanziato dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione stessa – che l’ha seguita in particolare attraverso il Servizio di Sentieristica – si è imperniata sulla messa a sistema di una serie di tracciati già esistenti, che sono stati progressivamente risistemati e integrati a partire dal 2016. Oggi il Cammino Balteo, seppure con qualche tratto ancora da rettificare, è quasi interamente percorribile e l’amministrazione regionale ha cominciato a promuoverlo.

In una fase di profonda instabilità politica per la Valle d’Aosta (dal 2013 il tempo di vita media di una Giunta non raggiunge l’anno) colpisce favorevolmente la costanza con cui il progetto Bassa Via è stato portato avanti. Segno che l’idea del turismo sostenibile, della necessità di allungamento stagionale e della valorizzazione dei territori meno conosciuti è accettata trasversalmente dal mondo politico locale, anche se questo non determina ancora una messa in discussione della visione dominante del turismo di massa.

Siamo consapevoli che i Comuni attraversati dal Cammino Balteo, al di fuori delle mete ben affermate (e talora anche troppo affollate) dei circuiti dei tour operators, ospitano tanti piccoli gioielli che meritano di essere apprezzati: i parchi minerari di Saint Marcel e Challand-Saint Anselme, il recupero di mulattiere storiche, degli antichi rus (il sistema di canalizzazioni in quota realizzato nel Medioevo per sostenere l’agricoltura), la valorizzazione della gastronomia locale, giusto per fare degli esempi, sono elementi già in larga parte presenti sul territorio. Ora è necessario servirsi di questo percorso per incrementare e coordinare questa offerta: ricca sì, ma puntiforme, e conseguentemente poco conosciuta.

Auspichiamo che il Cammino Balteo costituisca il punto di partenza per una conversione radicale del turismo in Valle d’Aosta, che valorizzi le eccellenze locali e favorisca un approccio più autentico al nostro territorio, rafforzando l’offerta sostenibile e promuovendo un’accoglienza diffusa. I Comuni rivestiranno un ruolo nodale in questa avventura, e si potrà creare una stagione nuova per la bassa e media montagna, dopo decenni di difficoltà e progressivo spopolamento.

La Bandiera Verde assegnata agli amministratori regionali che negli anni hanno permesso la realizzazione del Cammino Balteo è pertanto un segnale di fiducia verso una nuova e diversa prospettiva di sviluppo dei territori.

INQUINAMENTO AMBIENTALE E CAS ACQUA CONTAMINATA, POLVERI DIFFUSE E CAPANNONI OBSOLETI LA REGIONE INTERVENGA PER RISTRUTTURARE L’ACCIAIERIA

La chiusura delle indagini sul presunto inquinamento delle acque a valle degli scarichi della CAS, dei terreni adiacenti lo stabilimento e dell’aria, non fa che confermare i timori che cittadini e associazioni esprimono da anni.

Anche se il procedimento si è concluso con la richiesta di archiviazione, e non sussistono profili di responsabilità penale degli indagati – tutti dipendenti o consulenti della CAS – le motivazioni espresse dal pm Eugenia Menichetti non fanno che aumentare le nostre preoccupazioni. Infatti è l’Amministrazione regionale che, nel concedere l’AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), non ha inserito alcuni limiti specifici sulla concentrazione dei fluoruri nelle acque degli scarichi parziali, consentendo inoltre all’azienda di diluire gli inquinanti in acqua prima dello scarico nella Dora Baltea.

Un quadro sconfortante e in contrasto con il Testo Unico Ambientale: una situazione, aggiunge il magistrato, in cui la Regione accetta una pratica non consentita ben sapendo che i limiti strutturali dello stabilimento, dovuti alla sua obsolescenza, non permettono di rispettare quanto prevede la legislazione a tutela dell’ambiente.

La pm constata, infatti, che la vetustà dell’impianto rende impossibile una riduzione significativa degli impatti ambientali connessi alla produzione.

Questi aspetti emersi dalle indagini e dalle consulenze richieste dalla Procura delineano, a nostro avviso, un situazione grave. Più volte il nostro Circolo ha sottolineato come l’obsolescenza delle strutture rappresentasse un limite insormontabile per un abbattimento significativo dell’inquinamento connesso inevitabilmente all’attività dell’acciaieria. Ricordiamo, per l’ennesima volta, che tutta l’area e gli edifici sono di proprietà di VDA Structure, società partecipata a capitale totalmente regionale. E che alcune parti dello stabilimento risalgono ai primi decenni del secolo scorso. Oltre al problema della contaminazione delle acque del nostro fiume e, forse, della falda sotterranea, la vetustà dello stabile è anche alla radice del problema delle emissioni diffuse, di cui si parla da anni. Una situazione, oltretutto, destinata ad aggravarsi con il passare del tempo, se si continuerà a cercare solo il contenimento dei problemi più che la loro risoluzione.

Come ambientalisti e come cittadini che hanno a cuore la salute di tutti (e ci preoccupa in particolare quella dei lavoratori dell’acciaieria), chiediamo a questo punto alla Regione tre cose precise:

  1. che venga avviato il procedimento di modifica dell’AIA, al fine di eliminare le difformità segnalate dal pm Menichetti inerenti le concentrazioni di fluoruri nelle acque di scarico della CAS e porre fine alla pratica della diluizione;

  2. che venga dato immediato incarico ad ARPA di svolgere una campagna di monitoraggio e studio per la ricerca degli inquinanti tipici dell’acciaieria, con particolare riferimento ai fluoruri, al fine di definire il reale stato delle acque sia della Dora Baltea che della falda sotterranea di Aosta;

  3. che venga finalmente avviato un graduale processo di ristrutturazione dell’acciaieria. Sappiamo che questo è un punto delicato e complesso, ma, crediamo, non più rinviabile.

E in conclusione Legambiente si rivolge anche al Comune di Aosta, il cui Sindaco, lo ricordiamo, ha responsabilità precise in materia di salute pubblica, per chiedere la convocazione immediata dell’Osservatorio della Qualità dell’Aria, anche in forma telematica, per discutere della situazione dello stabilimento e acquisire dall’azienda e dall’amministrazione regionale gli opportuni approfondimenti.

PASCOLI D’ORO: LE TRUFFE NEGLI ALPEGGI.

SI MOLTIPLICANO GLI INTERVENTI DELLA MAGISTRATURA PER REATI CON IMPATTI AMBIENTALI

In questi ultimi giorni si è avuto spesso notizia di indagini giudiziarie che hanno portato alla luce comportamenti illeciti su temi che la nostra associazione segue da tempo: dal sequestro di discariche alla speculazione per ottenere incentivi nati per promuovere energie pulite o pratiche di pascolo virtuoso e che invece finiscono nelle tasche di furbetti ai quali dell’ambiente non importa un fico secco.

Fin dai primi anni 2000, nel quadro della Politica agricola comunitaria (PAC), vengono offerti cospicui contributi dall’Europa alle aziende agricole che assicurino il mantenimento dei terreni in buone condizioni agronomiche e ambientali attraverso il pascolo corretto, che contribuisce alla cattura di CO2 e apporta benefici al clima e alla biodiversità.

Questo obiettivo sembra tuttavia essere largamente disatteso da alcuni grandi speculatori e commercianti di bestiame che accumulano ricchi contributi europei adottando pessime pratiche agronomiche o mettendo in atto altri tipi di truffe. Un meccanismo perverso, declinato in modi diversi – con il sovrapascolo, con la sottoutilizzazione o addirittura con la mancata gestione del territorio – è venuto a galla grazie alle testimonianze di allevatori locali, sia in Valle sia in altre località delle Alpi e degli Appennini, dove ormai le inchieste giudiziarie su questo tema non si contano più.

Nei nostri alpeggi si vedono ogni anno salire enormi camion carichi di bovini, soprattutto vitelloni da carne di razze non autoctone, non adatte al clima e al terreno, e di fieno, di provenienza ignota, trasportato con costi notevoli e in gran quantità dalla pianura. Evidentemente il guadagno ottenuto con i contributi PAC è largamente superiore. L’eccessivo calpestio, il brucamento ad alta quota in pascoli chiamati, e non a caso, “l’erba delle pecore”, sui quali un tempo nessun allevatore serio avrebbe mai portato le vacche, sono un danno, e quindi una truffa. Altri danni e altre modalità criminali sono stati messi in luce dall’ultima inchiesta in corso in Valle d’Aosta denominata “Pascoli d’oro”: superfici brucate solo parzialmente, animali mai arrivati negli alpeggi, ovini e asini incustoditi, dispersi e poi trovati morti, usati solo per giustificare sulla carta i contributi percepiti.

Questo meccanismo contributivo tra l’altro facilita solo chi dispone di grandi risorse finanziarie e fa salire artificiosamente il prezzo degli affitti dei pascoli, rendendo impossibile ai piccoli allevatori competere per la monticazione del loro bestiame. A ciò si aggiunga che spesso sono proprio le amministrazioni locali che, per rimpinguare le casse comunali, mettono all’asta i propri alpeggi, che vengono accaparrati da chi – in genere personaggi provenienti da fuori Valle – è in grado di garantire affitti spropositati, inarrivabili per i i piccoli allevatori locali già in difficoltà per molti altri problemi. Questi ultimi sono quindi costretti ad affidare il loro bestiame a questi grandi speculatori senza scrupoli per il territorio.

Le cosidette “regole di condizionalità” relative ad ambiente, cambiamenti climatici e buone condizioni agronomiche del terreno, delle piante e al benessere degli animali, sono già presenti nel Piano di sviluppo rurale (PSR), ma mancano puntuali controlli (ora solo svolti a campione) e soprattutto non sono sufficienti le verifiche sulla congruenza tra quanto dichiarato nelle domande di contributo e la realtà. E naturalmente vanno puntualmente e rigorosamente applicate le riduzioni dei premi a seguito di violazioni delle norme.

Scoperchiata la pentola grazie alle inchieste giudiziarie chiediamo che si apra un dibattito al fine di offrire, anche grazie ai nuovi premi di recente istituiti dalla Regione (200 euro per ogni capo monticato), l’accessibilità agli alpeggi da parte degli allevatori locali e la fine di queste

Ancora incentivi dal Governo all’idroelettrico che rovina gli ultimi corsi d’acqua naturali

Comunicato stampa congiunto del Coordinamento nazionale tutela fiumi e di Legambiente Valle d’Aosta.

l Decreto Rinnovabili FER 1 non ha eliminato gli incentivi agli impianti idroelettrici nei corsi d’acqua naturali. Prevede, per l’accesso all’incentivo, la verifica e la certificazione, da parte delle Agenzie regionali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA), che l’opera sia conforme alle Linee guida del Ministero Ambiente adottate in base alla Direttiva Quadro Acque, e in particolare che sia conforme alle tabelle 11 e 13 delle Linee Guida ministeriali stesse.

Anche in Valle d’Aosta è ripresa quindi la corsa agli incentivi per le centraline idroelettriche, nonostante sia uno dei territori le cui acque sono tra le più sfruttate d’Italia, come il Coordinamento Nazionale Tutela Fiumi Free Rivers Italia e Legambiente VDA hanno più volte denunciato.

Le Agenzie regionali del Veneto, della Lombardia, del Piemonte si sono espresse in modo molto differenziato tra di loro e diverso rispetto ad ARPA della Valle d’Aosta nel valutare i progetti che hanno esaminato. Solo ARPA VdA ha ammesso agli incentivi tutti i progetti presentati.

Cinque sono i progetti presentati nell’autunno 2019 (altri si sono aggiunti nella primavera 2020). Fra questi, un nuovo impianto idroelettrico con opera di presa sul torrente Valnontey e centrale in località Cretaz, nel comune di Cogne presentato dalla Herren & F di Cogne. Il progetto è stato dichiarato da parte di ARPA conforme alla normativa e potrà avere accesso agli incentivi statali, nonostante comporti un notevole impatto e non sia del tutto conforme alle tabelle ministeriali.

Allo stesso modo sono stati dichiarati conformi gli altri 4 progetti: due sul torrente Evançon a Verrès (ditte Alenergy-ex Balzano e SIV, entrambe di Milano, con rappresentante legale Alberto Arditi), uno sul Saint Barthelemy (Saint Barth Basso di Courmayeur già Eaux Valdotaines) e uno sul torrente Urtier a Cogne (Energy Urtier con sede a Cogne).

Legambiente Valle d’Aosta ha chiesto chiarimenti sulle attestazioni rilasciate da ARPA, che si basano sulle direttive distrettuali dell’Autorità di Bacino del Po e non sulle tabelle 11 e 13 delle Linee Guida ministeriali, come invece stabilito dal Decreto Rinnovabili FER1.

ARPA dichiara che «le linee guida ministeriali sono state recepite in Conferenza Istituzionale Permanente presieduta dal Ministro dell’Ambiente. Pertanto, a meno di indicazione del Ministro dell’Ambiente, che in virtù della differenza tra concessione e incentivo e della necessità di criteri omogenei per la tutela ambientale e per una corretta concorrenza, inviti ad utilizzare le tabelle del DD 29 e metodi univoci proposti da SNPA, si ritiene opportuno utilizzare le indicazioni delle delibere distrettuali, e solo ove esse non regolamentino taluni aspetti si farà ricorso a quanto disposto dai DD 29 e 30».

Risulta, tuttavia, che indicazioni ministeriali per l’utilizzo delle tabelle 11 e 13 ci siano state: e allora si tratta di mancanza di dialogo tra istituzioni?

Così facendo, l’Italia rischia una procedura di infrazione comunitaria, oltre a rovinare gli ultimi torrenti naturali.

Insomma, un perfetto garbuglio all’italiana. E intanto il risultato è che si continuano a dare incentivi statali per opere che, in base ai dati del Gestore dei Servizi Energetici, forniscono una quantità di energia trascurabile.

A maggior ragione in un momento molto difficile per il nostro paese, secondo Free Rivers Italia e Legambiente VDA, servirebbe maggiore attenzione nell’erogare fondi pubblici e bisognerebbe puntare invece sulla valorizzazione dei corsi d’acqua naturali, anche con finalità turistiche.

FASE 2 : QUALE RIPARTENZA PER LA VALLE D’AOSTA?

Regione e Comuni puntino alla sostenibilità ambientale e a diventare modello avanzato di riconversione ecologica delle attività economiche

Con l’approssimarsi della progressiva uscita dal lockdown, anche la nostra regione si prepara al riavvio delle attività economiche. Il presidente Testolin ha annunciato, la scorsa settimana, un consistente impiego di fondi per avviare un piano di opere pubbliche, senza dettagliare il tipo di interventi che verranno cantierati.

Nei prossimi mesi, inoltre, saranno erogati aiuti alle varie categorie produttive ed economiche, per ristorarle almeno in parte dalle perdite subite e favorirne la ripartenza.

Ma come verrà declinata la Fase 2? Si replicheranno modi e forme di sviluppo economico già sperimentate e che hanno rivelato tutta la loro fragilità o sapremo cogliere l’opportunità per sperimentare nuove forme di sviluppo sostenibile? Sapremo rimettere al centro il benessere vero fondato su stili di vita buoni e sani?

Si tratta di un’occasione imperdibile. La sfida della riorganizzazione del trasporto pubblico e dell’incentivazione della mobilità dolce, su cui ci siamo già espressi sottoscrivendo una proposta insieme a FIAB e UISP, è solo uno degli aspetti su cui un utilizzo oculato dei fondi a disposizione può fare la differenza. Settori come l’edilizia, il turismo, l’agricoltura, possono essere al centro di profonde innovazioni, in direzione della sostenibilità ambientale, e di un rilancio forte della Valle d’Aosta, come modello avanzato di riconversione ecologica delle attività economiche.

Lo stesso Consiglio Regionale ha approvato atti di indirizzo che impegnano l’amministrazione ad imboccare la strada della sostenibilità, dare concretezza a queste mozioni di principio sarebbe una vera novità. Molte proposte già esistono. L’edilizia trarrebbe notevole slancio da un rafforzamento degli incentivi per la ristrutturazione degli edifici in vista di un risparmio energetico. Anche un piano di abbattimento/ricostruzione di molte abitazioni realizzate nei primi decenni del Dopoguerra, energivore e difficilmente ristrutturabili, darebbe un contributo significativo alla ripresa del settore. Agricoltura e zootecnia dovrebbero puntare più decisamente sul rafforzamento e l’ampliamento delle filiere di eccellenza alimentare, mettendo al centro le piccole e medie aziende, l’uscita graduale dall’uso della chimica in agricoltura, il legame con il turismo dolce.

La ripartenza del settore turistico avverrà potenziando l’offerta dell’approccio slow e puntando sull’allungamento della stagione estiva, come indicano molti analisti del settore.

La Valle d’Aosta può ora potenziare la sua offerta, diffondendo la presenza turistica sul territorio, mettendo in rete, accanto ai luoghi per cui siamo famosi, gli innumerevoli angoli ancora sconosciuti e contribuendo alla rinascita della media e bassa montagna e contrastandone lo spopolamento.

In questo contesto sarà utile sostenere le forme di ospitalità che meglio rappresentano l’accoglienza tipica delle nostre montagne, gli alberghi medi e piccoli provati dal distanziamento sociale e a rischio di chiusura. A tal fine vanno promosse anche forme di cooperazione e scambio tra operatori, creazione di reti di ospitalità (albergo diffuso, paese albergo ecc), già sperimentate, in modo episodico, anche in Valle. In questo modo si potrà non solo ripartire, ma anche migliorare, ponendosi come realtà pioniera nella riconversione sostenibile dell’economia.

Cambiamenti di modello di sviluppo, tra l’altro meno appetibili e penetrabili dalla criminalità organizzata così bene insediata chez-nous, consentirebbero infine una sanificazione dell’economia e della politica.